(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 22 feb. - "L'attesa di oggi in Parlamento, ma non solo, è tutta concentrata sulle risposte che domani la Corte Costituzionale darà ai diversi quesiti referendari in termini di ammissibilità, o meno. I fatti di questi ultimi giorni hanno messo in pole position il quesito sull'eutanasia, che nella logica dei presentatori dovrebbe spalancare le porte a quello che viene comunemente chiamato omicidio del consenziente. Dopo la sentenza di due anni fa: la cosiddetta sentenza Cappato, con cui la Consulta rendeva possibile, a determinate condizioni, dichiarare non colpevole chi aiuta un malato a suicidarsi, oggi la Corte è chiamata a pronunciarsi spingendosi anche oltre, ossia a dichiarare non colpevole chi, in determinate circostanze, uccide una persona che coscientemente ne fa richiesta. Nell'arco di un paio d'anni, se ciò avvenisse, la Corte Costituzionale avrebbe cancellato dal Codice Penale gli articoli 579 e 580: ossia il suicidio assistito e l'omicidio del consenziente, due misure chiare e forti a tutela della vita umana, nei momenti di maggiore fragilità. Ossia quando il dolore, la sofferenza, la solitudine, la perdita di senso e di significato della propria vita, spingono a non desiderare più di vivere e la morte sembra assumere un tratto seduttivo a cui è difficile dire di no. Non solo per il paziente, ma anche per i suoi familiari e amici. Agli uni e agli altri sembra che non ci siano più alternative davanti ad una esistenza che si fa sempre più triste e più buia. Ma l'equivoco è proprio qui. Manca una vera prevenzione del suicidio, che andrebbe contemplata come rischio reale quando una persona subisce un incidente grave, come nel caso di Eluana, Dj Fabo, Mario e molti altri ancora. Ciò che sorprende in questo dibattito tra eutanasia come diritto, per altro inesistente, e vita da affrontare con la sua complessità, è proprio la mancanza della prevenzione al suicidio. Le stesse Cure Palliative, su cui per altro tanto insiste anche la Corte Costituzionale nella sua sentenza sul caso Cappato, vengono dopo, prima occorre una attenta azione di prevenzione del suicidio che preveda interventi a 360 gradi". Lo afferma la senatrice Paola Binetti, UDC, che continua: "Intervenire nel momento finale di un processo decisionale in cui il paziente sembra davvero arrivato all'ultimo miglio della sua non facile vita, è davvero troppo tardi. Sotto il profilo medico mancano due passaggi essenziali che sono la prevenzione e la diagnosi precoce: prevenzione del suicidio e diagnosi di rischio suicidiario. E pure la lunga storia di queste persone che hanno chiesto di morire, per bocca di altri, come nel caso Englaro, o in prima persona come Fabo e Mario, ci dovrebbe insegnare quanto sia importante intervenire subito per rimuovere ostacoli, come il timore di essere di peso per la famiglia, o la paura di dover affrontare dolori insostenibili, e per offrire alternative, attraverso una psicoterapia efficace, la solidarietà dei familiari e degli amici, un piano di vita il più possibile attrattivo.
Paradossalmente né Luca Coscioni, né Piergiorgio Welby, né lo stesso Marco Pannella, hanno chiesto di anticipare la loro morte, perché avevano una battaglia da vivere e da combattere, fosse pure quella di chiedere il diritto a morire quando e come si vuole. Ma la loro vita aveva un valore testimoniale che li ha tenuti in vita. Oggi, quando tanti parlano di un ipotetico diritto a decidere della propria morte, diventa urgente aprire un dialogo con loro fin dal primo momento, per rimuovere questo rischio e affrontare positivamente la loro personale battaglia per la vita. Ma se chi li circonda parla solo di morte e dà al valore testimoniale della loro morte una importanza assoluta, allora non resa altro che andare incontro alla morte, senza neppure chiedersi se ci sarebbe stata un'altra possibilità...
mentre c'è sempre una ragione in più per vivere".
(Red/ Dire)