
Roma, 9 mag. - Buoni programmi di prevenzione e controllo delle infezioni (Ipc) possono ridurre del 70% le infezioni correlate all'assistenza sanitaria. E' quanto rileva il primo rapporto globale sulla prevenzione e il controllo delle infezioni pubblicato oggi dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). E' il primo documento del genere che l'Oms ha deciso si redarre in seguito alla pandemia da Covid-19 e ad altri recenti focolai di malattie.
"Oggi, su 100 pazienti ricoverati in ospedale, sette pazienti nei paesi ad alto reddito e 15 nei paesi a basso e medio reddito acquisiranno almeno un'infezione associata all'assistenza sanitaria (Hai - Health care-associated infection) durante la loro degenza ospedaliera- scrive l'Oms- In media, uno su dieci morirà a causa di questa infezione. Particolarmente a rischio sono le persone ricoverate in terapia intensiva e i neonati".
Il rapporto rivela che circa un caso di sepsi su quattro trattati in ospedale e quasi la metà di tutti i casi di sepsi con disfunzione d'organo trattati nelle unità di terapia intensiva per adulti sono associati all'assistenza sanitaria.
"La pandemia di Covid-19 ha messo in luce molte sfide e lacune nell'Ipc in tutte le regioni e i Paesi, compresi quelli che avevano i programmi Ipc più avanzati- sottolinea Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms- Ha anche fornito un'opportunità senza precedenti per fare il punto della situazione e aumentare rapidamente la preparazione e la risposta alle epidemie attraverso le pratiche Ipc, oltre a rafforzare i programmi in tutto il sistema sanitario. La nostra sfida ora è garantire che tutti i Paesi siano in grado di allocare le risorse umane, le forniture e le infrastrutture necessarie".
Il rapporto affronta anche l'impatto e il rapporto costo-efficacia dei programmi di prevenzione e controllo delle infezioni e le strategie e le risorse a disposizione dei Paesi per migliorarli. "L'impatto delle infezioni associate all'assistenza sanitaria e della resistenza antimicrobica sulla vita delle persone è incalcolabile- scrive l'Oms- oltre il 24% dei pazienti affetti da sepsi associata all'assistenza sanitaria e il 52,3% di quelli trattati in un reparto di terapia intensiva muoiono ogni anno. I decessi aumentano da due a tre volte quando le infezioni sono resistenti agli antimicrobici".
Negli ultimi cinque anni, l'Oms ha condotto sondaggi globali e valutazioni congiunte per Paese per valutare lo stato di attuazione dei programmi nazionali Ipc. Confrontando i dati delle indagini 2017-18 e 2021-22, la percentuale di Paesi che hanno un programma Ipc nazionale non è migliorata; inoltre nel 2021-22 solo quattro dei 106 Paesi valutati (3,8%) avevano tutti i requisiti minimi per l'Ipc in vigore a livello nazionale. Ciò si riflette in un'attuazione inadeguata delle pratiche Ipc presso il punto di cura, con solo il 15,2% delle strutture sanitarie che soddisfano tutti i requisiti minimi IPC, secondo un'indagine dell'Oms nel 2019.
Il rapporto rivela che i Paesi ad alto reddito hanno maggiori probabilità di portare avanti il proprio lavoro sull'Ipc e hanno una probabilità otto volte maggiore di avere uno stato di implementazione dell'Ipc più avanzato rispetto ai Paesi a basso reddito. In effetti, tra il 2018 e il 2021 sono stati osservati pochi miglioramenti nell'attuazione dei programmi nazionali Ipc nei Paesi a basso reddito, nonostante una maggiore attenzione sia stata generalmente prestata all'Ipc a causa della pandemia di Covid-19.
L'appello che lancia l'Oms a tutti i Paesi del mondo è quello di aumentare i propri investimenti nei programmi Ipc per garantire la qualità dell'assistenza e la sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari. "Ciò non solo proteggerà le loro popolazioni- scrive l'Organizzazione- ma l'aumento degli investimenti in Ipc ha dimostrato anche di migliorare i risultati sanitari e di ridurre i costi sanitari e le spese vive".
(Red)