
Roma, 15 giu. - La pandemia ha avuto un impatto fortissimo sulla gestione della salute degli italiani, testimoniato ad esempio da un calo generalizzato delle visite e delle ospedalizzazioni. Ad esempio i tassi di ospedalizzazione per le malattie ischemiche del cuore nel 2020 sono calati complessivamente di un quinto rispetto al 2019, sia negli uomini (645,6 ricoveri per 100.000 uomini nel 2020 vs 804,0 per 100.000 nel 2019) che nelle donne (205,8 ricoveri per 100.000 donne nel 2020 vs 263,6 per 100.000 nel 2019). Lo stesso dicasi per le malattie cerebrovascolari: i tassi di ospedalizzazione, nel 2020, sono calati complessivamente rispetto al 2019, sia negli uomini (-17,4%) (459,3 ricoveri per 100.000 uomini nel 2020 vs 556,3 per 100.000 nel 2019) che nelle donne (-18,3%) (327,7 ricoveri per 100.000 donne nel 2020 vs 401,3 per 100.000 nel 2019. È uno degli aspetti di gestione sanitaria emersi dal XIX Rapporto Osservasalute 2021, curato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell'ambito di Vihtaly, spin off dell'Università Cattolica, presso il campus di Roma.
Questa nuova edizione di 655 pagine è frutto del lavoro di 240 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat.
'La pandemia ha drasticamente tagliato i ricoveri, sia perché i pazienti per paura si sono rivolti meno all'ospedale in caso di urgenze, sia perché il sistema ospedaliero non ha retto l'impatto dirompente del Covid- sottolinea il professor Walter Ricciardi, direttore di Osservaslute e Ordinario di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica, nonché consigliere del ministro della Salute per l'emergenza da coronavirus- Chiaramente ciò non è privo di conseguenze a breve e a lungo termine per la salute degli italiani; basti pensare che un ictus non trattato con la dovuta tempestività si traduce spessissimo in una disabilità permanente che ha costi umani, sociali e sanitari non indifferenti'.
'Inoltre, il calo degli interventi programmati per diverse procedure chirurgiche che rappresentano tra l'altro un indicatore di qualità e appropriatezza organizzativa dell'attività ospedaliera- continua il professor Ricciardi- suggerisce che nei prossimi anni non solo gli ospedali dovranno smaltire i ritardi accumulati, ma si troveranno anche ad affrontare un carico di morbidità, cronicità e disabilità generato proprio dagli interventi troppo posticipati o non eseguiti'. Lo stesso dicasi per la specialistica, 'rimandare una visita- sottolinea il professore Ricciardi- significa ritardare una diagnosi e una cura, amplificando il rischio di progressione della malattia e di complicanze'.
Anche le visite specialistiche sono diminuite a causa della pandemia: se nel corso del 2019 sono state erogate circa 26 milioni e 600 mila prime visite, nel corso del 2020, le prime visite sono diminuite di circa un terzo, ammontando a circa 17 milioni e 700 mila. Sempre nel 2019, sono state erogate circa 32 milioni e 700 mila visite di controllo. Nel 2020, anche le visite di controllo sono diminuite di circa un terzo, ammontando a circa 22 milioni e 500 mila. Nel corso del 2019, in Italia, sono state erogate 44,20 prime visite per 100 abitanti (standardizzando per età, da 31,48 per 100 in Veneto a 61,82 per 100 in Piemonte) e 54,23 visite di controllo per 100 abitanti (standardizzando per età, da 37,42 per 100 in Sicilia a 86,09 per 100 nella PA di Bolzano). Nel 2020, sono state erogate 29,72 prime visite per 100 abitanti (standardizzando per età, da 18,80 per100 nelle Marche a 44,44 per 100 in Piemonte), e 37,81 visite di controllo per 100 abitanti.
Ospedali paralizzati dal Covid: i dati registrati nel 2020 indicano un tasso di ospedalizzazione complessivo pari a 103,6 per 1.000, in netto calo rispetto al 2019 (129,8 per 1.000) e nettamente inferiore allo standard del 160,0 per 1.000 indicato dal DM n. 70/2015. L'analisi della tendenza temporale 2015-2020 rileva una chiara riduzione del tasso di ricovero per entrambi le componenti. Il tasso di ospedalizzazione in regime di DH passa dal 33,3 per 1.000 al 20,8 per 1.000, mentre il tasso in regime di RO dal 107,3 all' 82,7 per 1.000. Tra il 2019 e il 2020 si registra un ulteriore importante calo dei tassi di ospedalizzazione, pari al 18,2 per 1.000 per la componente in RO e all'8,1 per 1.000 per la componente in DH. I DRG chirurgici rappresentano, nel 2020, il 43,1% di tutti i ricoveri, il 40,7% dei ricoveri in RO e il 53,0% dei ricoveri in regime diurno.
Con la pandemia si sono ridotte anche procedure terapeutiche, quali gli interventi per protesi di anca, bypass coronarico e angioplastica coronarica, che rappresentano anche un indicatore di qualità e appropriatezza organizzativa dell'attività ospedaliera. Ad esempio, il tasso di dimissioni ospedaliere a livello nazionale nella popolazione di età ?65 anni per intervento di protesi di anca, nel 2020, è pari a 525 per 100.000 ed è in sensibile calo rispetto al valore registratosi nel 2019 pari a 625,3 per 100.000. Si osserva, quindi, una inversione di tendenza rispetto ad un trend in lieve crescita registrato negli anni precedenti. Lo stesso dicasi per l'intervento di bypass coronarico: nel 2020, un valore pari a 76,6 per 100.000, valore in diminuzione rispetto al 2019 (100,9 per 100.000).
Con il Covid si sono ridotte anche le coperture vaccinali. In questo contesto, nel 2020 nessuna vaccinazione obbligatoria raggiunge il target raccomandato dall'OMS del 95%. Nell'ultimo anno i valori di copertura più alti si osservano per Tetano (94,04%), Pertosse (94,03%) e Poliomielite (94,02%), mentre Parotite (92,47%), Rosolia (92,21%) e Varicella (90,28%) presentano i valori più bassi. Parotite e Rosolia, inoltre, mostrano la riduzione percentuale più ampia tra il 2019 e il 2020 (-2,09% e -2,39%, rispettivamente). È necessario ancora un grande sforzo per riuscire a raggiungere gli obiettivi del PNPV.
In generale, l'introduzione dell'obbligo vaccinale ha portato ad un aumento delle coperture per tutte le dieci vaccinazioni obbligatorie dal 2017 al 2019, con particolare riferimento alla varicella, segnando dunque la strada da seguire. Tuttavia, la pandemia Covid-19 ha causato una brusca riduzione della crescita delle coperture, segnando una diminuzione per tutte le vaccinazioni.
Nel 2021, la speranza di vita alla nascita è pari a 80,1 anni per gli uomini e 84,7 anni per le donne, con un parziale recupero rispetto a 2020 che, comunque, non ha permesso di tornare alla situazione pre-pandemica. Gli uomini, nel 2020, hanno perso più di 1 anno di vita rispetto al 2019 (-1,3 anni), con il virus che ha colpito, soprattutto nella prima ondata, maggiormente il Nord-Italia che, quindi, ha visto un decremento maggiore nella speranza di vita (in media -1,8 anni). Per gli uomini della Lombardia sono stati registrati i decrementi maggiori nella speranza di vita alla nascita (-2,6 anni vs -1,3 anni del dato nazionale). In tutte le regioni del Nord è stato perso almeno 1 anno di vita. Minori rispetto al Nord sono state le perdite nel corso del 2020 per il Centro e il Mezzogiorno (rispettivamente, -0,7 anni e -0,8 anni), anche se tutte le regioni hanno registrato un decremento della speranza di vita. La regione maggiormente colpita è stata la Campania (-1,2 anni), le due con le perdite minori la Basilicata e la Calabria (-0,4 anni).
Nel 2021 si è assistito ad un lieve aumento della speranza di vita rispetto all'anno precedente (+0,3 anni). Il Nord, che, come visto, aveva subito perdite più gravi, cresce con livelli più alti rispetto al resto d'Italia (guadagna +1,1 anni). Centro e Mezzogiorno, invece, vedono ancora un peggioramento della speranza di vita (rispettivamente, -0,1 e -0,5 anni). La Lombardia, che nel 2020 era stata la regione più penalizzata, è nel 2021 quella con il guadagno maggiore (+1,8 anni). Le donne, nel 2020, hanno perso quasi 1 anno di vita rispetto al 2019 (-0,9 anni). Come già visto per gli uomini, il virus nella prima ondata ha colpito maggiormente il Nord-Italia causando un decremento maggiore nella speranza di vita (in media -1,4 anni).
I decrementi maggiori nella speranza di vita alla nascita sono stati registrati per la Lombardia: -1,9 anni vs -0,9 anni del dato nazionale (non consideriamo qui la Valle d'Aosta poiché, essendo una regione con un'ampiezza demografica molto ridotta, è possibile che a piccole oscillazioni del numero di morti possano corrispondere elevate variazioni nella speranza di vita).
Le regioni che al Nord hanno perso meno anni di vita sono il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia-Romagna (-0,8 anni). Minori rispetto al Nord sono state le perdite nel corso del 2020 per il Centro e il Mezzogiorno (-0,5 anni). Come per gli uomini, tutte le regioni hanno registrato un decremento della speranza di vita. Si va dal minimo della Basilicata (-0,2 anni) al massimo del Molise (-1,0 anno). Nel 2021, a livello nazionale, si è assistito ad un lieve aumento della speranza di vita rispetto all'anno precedente (+0,2 anni). Il Nord, che aveva subito perdite più gravi, cresce con livelli più alti rispetto al resto d'Italia (guadagna +0,8 anni). Il Centro rimane stabile, mentre il Mezzogiorno vede ancora un peggioramento della speranza di vita (-0,4 anni).
Abbiamo già descritto i rischi sulla salute degli italiani a causa del Covid, in particolare sugli anziani che sono stati quelli più colpiti dalla pandemia. In termini di sopravvivenza, nel 2020, si stima che un uomo di 65 anni residente in Italia possa vivere ancora 18,5 anni, con una perdita di 1,2 anni rispetto al 2019, cedendo diverse posizioni rispetto alla graduatoria degli anni precedenti (era seconda nel 2019, ora è settima). L'impatto dell'eccesso di mortalità dovuto al Covid-19 osservato nel 2020 ha alterato la graduatoria per longevità dei Paesi europei. La vita media attesa a 65 anni degli uomini è più alta a Malta, in Francia e in Svezia mentre si attesta su livelli simili all'Italia in Spagna, Danimarca e Grecia.
Livelli particolarmente bassi per la speranza di vita a 65 anni si rilevano nei Paesi baltici e in tutti i Paesi dell'Europa dell'Est, in particolare in Bulgaria dove si registra il valore più basso di 12,9 anni in media da vivere dopo i 65 anni. Per le donne a 65 anni l'Italia si colloca al quinto posto per vita media attesa (21,8 anni), con la perdita di 1,1 anni rispetto al 2019, dopo Francia (23,2 anni), Spagna (22,4 anni), Finlandia (22,3 anni) e Malta (22,0 anni). Si attestano al di sotto del valore mediano (pari a 21,0 anni per i Paesi dell'UE-27 esclusi Germania e Irlanda), non solo tutti i Paesi dell'UE-27 dell'Europa orientale, con il valore minimo di Bulgaria (17,2 anni) e Romania (17,7 anni), ma anche alcuni Paesi dell'Europa occidentale come Belgio e Paesi Bassi (entrambi con 20,8 anni).
Per l'aspettativa di vita a 65 anni senza alcuna limitazione nelle attività è necessario far riferimento sempre al 2019, ultimo anno disponibile, che riconferma la posizione più elevata della Svezia, con il più alto valore sia per gli uomini che per le donne (rispettivamente, 15,9 anni e 16,6 anni). In particolare, degli anni di vita attesi a 65 anni, il numero da vivere in presenza di limitazioni in Svezia è in media per gli uomini 3,7 anni, molti meno se paragonati agli 8,1 anni della media UE-27, ai 9,1 anni per i 65enni in Italia o agli 11,3 anni di Croazia, 11,1 anni di Slovacchia e 11,0 anni dell'Austria.
Anche per le donne svedesi gli anni compromessi rappresentano il dato più basso tra i Paesi dell'UE, solo 5,5 anni, a fronte di una media UE-27 di 11,4 anni, mentre per l'Italia sono 12,7 anni, ovvero più della metà della loro vita attesa a 65 anni (22,9 anni) sarà compromessa da qualche limitazione nelle attività.
Il quadro peggiora per i Paesi dell'UE-27 dell'Europa orientale: Slovacchia, Lettonia e Croazia registrano, nel 2019, quote sempre superiori al 70% di anni da vivere con qualche limitazione. Anche tra i Paesi dell'Europa occidentale, però, si rileva che le donne a 65 anni residenti in Portogallo, Grecia o Austria trascorrono ben due terzi degli anni da vivere con limitazioni nelle attività.
(Red)