
Roma, 28 feb. - Affrontare il gap che esiste tra la medicina dell'età pediatrica e quella dell'adulto rispondendo ai bisogni di salute della fascia d'età tra i 19 e i 45 anni, una fetta di popolazione composta da giovani adulti in cui oggi si riscontrano nuovi bisogni. Creare una figura intermedia che sappia prendersi carico di patologie ad insorgenza pediatrica che proseguono nel mondo dell'adulto. Creare una rete tra ospedali pediatrici e ospedali degli adulti. E ancora puntare sulla formazione nell'ambito della medicina dell'adolescenza e poi anche su una sorta di educazione alla comunicazione per i medici. Questi i cinque punti lanciati dalla Sima (Società italiana di medicina dell'adolescenza) in occasione della Giornata per le malattie rare che si celebra il 28 febbraio.
"Bisogna superare il muro che c'è tra la medicina dell'età pediatrica e quella dell'adulto, l'esistenza di questo muro tra competenze che dall'una e dall'altra parte sono andate aumentando in maniera considerevole negli ultimi anni ha fatto sì che ognuna di queste realtà diventasse un po' autoreferenziale", spiega Armando Grossi, presidente della Sima, partendo dal primo dei cinque punti che la società scientifica tiene a mettere in evidenza. "Il mondo degli adulti si trova di fronte all'incremento esponenziale dell'età media e dunque della sopravvivenza. In questo scenario quella degli over 70-75 anni è diventata la fascia d'età che più esprime un bisogno di salute. Contemporaneamente, però, i progressi medici hanno fatto sì che tante patologie ad insorgenza pediatrica abbiano oggi una possibilità di sopravvivenza che era sconosciuta negli anni passati. Questo ha creato nuovi bisogni in una fascia d'età che raramente si reca dai medici, quella dei giovani adulti che va dai 19 ai 40-45 anni- dice Grossi- E' una fascia che possiamo definire 'di nuova ignoranza di salute'. C'è, infatti, un problema di cultura sanitaria: si è passati da una sorta di acquiescenza nei confronti di quelle che erano, in passato, le decisioni del mondo sanitario a un fai da te che oggi è indiscriminato".
In questo contesto "emerge la necessità di creare figure intermedie che si prendano carico di patologie ad insorgenza pediatrica che proseguono nel mondo dell'adulto- evidenzia Grossi- sono appunto le malattie rare, il mondo della cosiddetta cronicità, intendendo non solo la cronicità che riguarda patologie congenite ma anche quelle forme di malattia ad insorgenza pediatrica che hanno una buona aspettativa e necessitano quindi che venga assicurata ai pazienti una qualità di vita ottimale". Per il presidente Sima queste persone "necessitano di una gestione multidisciplinare negli anni successivi a quelli pediatrici ma- dice- questo bisogno di assistenza e diagnostica non viene soddisfatto perché chi proviene dal mondo dell'adulto ha altro a cui pensare, penso ad esempio- dice- a tutte le patologie oncologiche che insorgono in età adulta. E per quanto riguarda, invece, il mondo pediatrico ci chiediamo se possa avere la forza e le competenze di prendersi carico di queste situazioni indefinitamente".
Allora per Grossi "bisogna disegnare un percorso per la formazione di figure che possano in qualche modo farsi carico di questo traghettamento. Dovrebbero essere figure- spiega- in cui ci sia una sorta di osmosi tra competenze proprie del mondo pediatrico e competenze proprie del mondo dell'adulto. E devono essere figure che provengono da vari ambiti specialistici".
In Italia, a differenza di altri Paesi europei, manca ad esempio la figura dell'adolescentologo. "Intendiamo una figura che conosca sia il mondo dell'adolescente sia quello del giovane adulto- spiega ancora Grossi- quello che gli inglesi definiscono Ayas (Adolescents and Young Adults), una figura che abbia la capacità di prendere in carico la cronicità di patologie che insorgono in età pediatrica e che si prolungano per tutta la vita". Una figura che sarebbe importante anche dal punto di vista della prevenzione. "Pensiamo ad esempio al varicocele maschile- dice il presidente Sima- prima veniva scoperto nell'ambito delle visite di leva ma ora che non si fanno più la popolazione maschile soffre della mancanza di questo tipo di screening".
In questo contesto sarebbe anche importante che "gli ospedali pediatrici e quelli dell'adulto facessero rete, tra loro e a livello interregionale. Dovremmo riuscire a collegare meglio varie realtà che sono presenti in diverse zone del Paese- auspica Grossi- Questo in parte già succede, ad esempio, con gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico ma dovrebbe essere fatto qualcosa dal punto di vista normativo".
Infine un punto importante su cui intervenire secondo Grossi è quello della comunicazione. "Il pediatra è abituato a comunicare con le famiglie quindi può avere difficoltà a parlare direttamente con il giovane adulto, può avere atteggiamenti che possono essere considerati troppo paternalistici. Allora su questo serve una sorta di educazione comunicativa perché noi medici non siamo formati alla comunicazione. Nell'affrontare le diagnosi o le terapie si potrebbe utilizzare lo stesso modello decisionale del mondo anglosassone, ossia quello che prevede un approccio condiviso con il paziente o la famiglia. Da noi siamo solo agli inizi", conclude il presidente Sima.
(Red)